Missa paschalis

ZELENKA, MISSA PASCHALISper soli, coro e orchestra ZWV 7

31° Concerto in onore di San Marco
nel 40° anniversario della fondazione dell’Accademia di Musica Antica
Francesco Divito, sopranista
Marco Petrolli, contraltista
Lars Hvass Pujol, tenore
Hao Wang, baritono

Orchestra e Coro della Mitteleuropa
Josef Höhn, maestro di concerto

Romano Vettori, direttore

Quando a Dresda, tra il 30 marzo e l’11 aprile 1726, in calce alla Missa
Paschalis appose l’acronimo O.A.M.D.G.V.M.OO.SS.H.AA.P.in.R., il boemo
Jan Dismas Zelenka (1679-1745) era un musicista ormai saldamente
integrato nella cappella di corte del principe elettore di Sassonia
Federico Augusto I, Re di Polonia come Augusto II, detto «der Starke»
(il Forte). Sicuramente non avrebbe immaginato che una copia della sua
gioiosa Messa di Pasqua sarebbe riemersa dalle ombre più tragiche del
Novecento, riunendo i destini dell’Europa dell’est e dell’ovest nel nome
della musica, e riproposta al Festival Settenovecento, nello “Sguardo ad
Est” del 2019.
Solo nel 2001, infatti, il manoscritto redatto dal Concert-Meister
dell’orchestra di Dresda, il grande violinista Johann Georg Pisendel (1688-
1755) è ritornato da Kiev alla Biblioteca di Stato Berlino (dove era giaciuto
da quasi due secoli grazie alla locale Singakademie), in seguito alla
restituzione dei beni culturali sottratti durante le vicende belliche del
secondo conflitto mondiale.
Figlio di un cantore e organista della chiesa di Louňovice, Zelenka si era
formato a Praga presso i Gesuiti ed era arrivato nella cappella di Dresda
fin dal 1710 come violonista (contrabbassista). Dal 1716 al 1719 fu
spesso in viaggio per perfezionarsi come compositore: studiò a Vienna
con il maestro della cappella imperiale Johann Joseph Fux (1660-1741),
e – come moltissimi musicisti del suo tempo attivi nel centro, nel nord e
nell’est Europa – si recò in Italia, dapprima a Napoli ove forse incontrò
e prese alcune lezioni da Alessandro Scarlatti, e quindi a Venezia, dove
sicuramente incontrò e probabilmente studiò con Antonio Lotti (1667-
1740). Nuovamente a Vienna nel 1717, stavolta come insegnante, ebbe
come allievo Johann Joachim Quantz (1697-1773), il noto flautista che
sarebbe stato anche suo valido collega nella rinomatissima orchestra
della cappella di Dresda. Nella capitale dell’Elettorato di Sassonia tornò
nel 1719 e, ad eccezione di alcuni viaggi a Praga, vi rimase fino alla
morte, che lo colse nella notte tra il 22 e il 23 dicembre 1745.
L’arco della vita di Zelenka dunque quasi coincide con quello del grande
Johann Sebastian Bach (1685-1750), il quale, come sappiamo dal figlio
Carl Philipp Emanuel, nei suoi rapporti con Dresda – nel corso dei quali
offrì al principe Elettore Augusto II la ‘cattolica’ grande Messa in si
minore (1724-1733) – ebbe modo di conoscere e stimare molto il collega
boemo, «suo amico e patrono». Riscoperto dalla musicologia e dagli
appassionati di musica barocca nel secondo Novecento, Zelenka si può ben
considerare l’alter ego di Bach sul versante cattolico del centro Europa.
Proprio nell’anno della Missa Paschalis (1726), il musicista aveva iniziato
a redigere il catalogo delle proprie composizioni, mostrando al sovrano
la propria fecondità di compositore, solerte in particolare nella musica
sacra, onde poter succedere al malato Capell-Meister di corte Johann
David Heinichen (1683-1729), che andava sostituendo sempre più nelle
funzioni; un catalogo che con le grandi Sex Missæ ultimæ giungerà solo
per questo genere a ventuno messe complete (oltre a quattordici singoli
movimenti) e cinque Requiem, costituendo un monumento musicale
alla liturgia cattolica in lingua latina di oltre 180 titoli (alle messe si
aggiungono Te Deum, salmi, lamentazioni, responsori, mottetti vari e
tre grandi oratori per soli, coro e orchestra). Al confronto, assai limitato
anche se di gran qualità il corpus della musica strumentale (una decina
di numeri, tra i quali gli straordinari Capricci), in buona parte composta
nel secondo soggiorno viennese, con caratteristici riferimenti alle danze
slave, mentre è totalmente assente il teatro d’opera e la musica vocale
da camera.
È un tributo – quello di Zelenka alla musica sacra cattolica – fatto di alta,
personalissima maestria tecnico-contrappuntistica, che alterna aspetti
di grande slancio vitalistico ritmico-melodico, estroso e apparentemente
fine a se stesso, a momenti di profondo pathos raggiunto con soluzioni
armoniche molto ardite che reggono tranquillamente il confronto con
quelle bachiane – anzi, rispetto a quelle anche più estranianti quando
non stravaganti. Nell’intonazione del testo liturgico Zelenka esprime
una totale fiducia nella immodificabile sacralità rituale, come in un
reiterato giuoco di sapienza tecnica e godibilità sonora, una fantasiosa,
continua variazione sui medesimi testi (quelli dell’ordinarium nel caso
delle messe): un misto di partecipazione emotiva del cristiano ai misteri
più dolorosi e gioiosi, e di un suo affidarsi alla oggettività della ecclesia
romana, rassicurante nel suo splendore e nella sua potenza.
Qui tocchiamo musicalmente lo storico congiungersi delle istituzioni
temporali e spirituali del tempo, e la particolarissima situazione di Dresda
e della Sassonia, il cui sovrano Federico Augusto si era privatamente
convertito al cattolicesimo, determinando quindi una coesistenza tra la
confessione protestante e quella cattolica, e quindi due consuetudini
liturgiche parallele: il titolo di Capell-meister di corte fu nelle mani di
J.D. Heinichen, che alla morte venne sostituito da J.A. Hasse (1731)
anziché dal vice-maestro Zelenka, al quale venne riservata la carica
dapprima di compositore di corte, e solo nel 1735 quella di Kirchen
Compositeur, a riconoscimento del suo annoso e qualificato impegno
nel genere. Dal 1721 aveva potuto contare su di un riadattamento
dell’organo della cappella reale che consentiva di utilizzare lo strumento
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allo stesso diapason (e accordatura) dell’orchestra, sempre più ampia e
riconosciuta a livello europeo. La nuova chiesa di corte di rito cattolico
sarebbe stata inaugurata solo nel 1751 con una messa di Hasse
(riproposta dall’Accademia di Musica Antica al Concerto in Onore di San
Marco 2014), ma Zelenka fece a tempo a scrivere importanti lavori per
le occasioni più solenni legate al suo incarico: il 12 settembre 1723 fu
rappresentato a Praga il suo Sancto Wenceslao (Sub olea pacis et palma
virtutis) ZWV 175 scritto per l’incoronazione dell’imperatore Carlo VI
come re di Boemia; a Dresda nel 1733, per i funerali di Federico Augusto
I compose il Requiem ZWV 46, l’Invitatorium, 3 Litanie e i 9 Responsoria
ZWV 47.
Nel corso di questa attività il boemo aveva potuto reincontrare Lotti,
a Dresda per dirigere alcune sue opere liriche tra il 1717 e il 1719,
e - come detto - incontrò sicuramente lo stesso Bach, che possedette
due sue messe e utilizzò degli “Amen” fugati nelle sue composizioni.
Il rapporto fra i due musicisti è ulteriormente documentato dal fatto
che un allievo di Bach, J.F. Agricola, fece una copia proprio della Missa
Paschalis (ora alla Bodleian Library di Oxford).
La circolazione manoscritta di questa messa ci testimonia dunque la sua
fortuna all’epoca: l’autografo superstite di Zelenka (Dresda, Sächsische
Landes-und Universitäts-Bibliothek) è però già una seconda versione
(la prima è testimoniata in realtà solo dalla copia di Berlino di Pisendel
ricordata in apertura di queste note): l’autore stesso, probabilmente nel
1732, vi aggiunse un toccante “Benedictus” per soprano e violino (viene
qui eseguito in raddoppio con flauto traverso secondo una preziosa
prassi di impasto timbrico tipica dell’orchestra di Dresda, nella quale
suonava, oltre al Pisendel, anche Quantz, uno dei più famosi flautisti del
Settecento e già allievo, come abbiamo visto, di Zelenka stesso).
Pur essendo una delle prime messe composte, la Paschalis non è
eccessivamente estesa (il Kyrie II è ampiamente modellato sul I, l’”Amen”
che chiude il Gloria viene replicato anche al termine del Credo e il Dona
nobis pacem viene riproposto sulla musica del Kyrie II); essa è nondimeno
una delle più smaglianti di Zelenka per la presenza nell’organico di ben
quattro trombe e timpani, oltre agli archi, due oboi e l’organo basso
continuo; nel 1726 le parti vocali della cappella di corte di Dresda erano
affidate a undici cantori maschi tra ragazzi («Kapellknaben») e cantanti
adulti. Messa cosiddetta “alla napoletana”, essa alterna cori e numeri
per solisti in vario assetto (Alto solo con archi al “Christe”, nel Gloria
soprano solo con archi al “Domine Deus” e terzetto Alto, Tenore e Basso
con oboi e archi al “Quoniam”, nel Credo Soprano, Alto e Tenore all’”Et
incarnatus”, ancora Soprano solo al “Benedictus”). I numeri concertati
dispiegano una varietà melodica e di passaggi armonici degni delle
pagine più alte del tardo barocco, con ardimenti tecnici anche strumentali
possibili solo in una delle più rinomate orchestre del Settecento. Si
avverte l’eredità della polifonia classica studiata con Fux e sulle opere
cinquecentesche del Palestrina e del Morales, e di quella secentesca di
Froberger e Frescobaldi (tutti autori presenti nella biblioteca personale
di Zelenka): benché aggiornata secondo i canoni dell’armonia tonale,
essa opera alacremente sia nei frequenti fugati, sia negli accurati cori del
“Qui tollis” (Gloria) – da sottolineare qui il «tremulo» richiesto agli archi
sul «miserere nobis» – e del “Crucifixus” (nel Credo), densi di accordi
diminuiti ed eccedenti, in un tortuoso andamento melodico cromatico
che dona più intensi e nuovi vocaboli alla retorica musicale barocca, già
da almeno un secolo pervasa dall’”imitazione degli affetti” anche nella
musica sacra. Proprio negli “Amen” - ammirati da Bach - troviamo un Una pagina della Missa Paschalis Di J.D. Zelenka
esempio paradigmatico dell’originalissimo stile di Zelenka, che modella
linee melodiche spesso angolose e zeppe di sincopi e contrasti ritmici,
sostenute da una scrittura orchestrale animatissima.
Riprendendo la tradizione delle prime edizioni il Concerto in Onore di San
Marco 2019 si apre con l’esecuzione del mottetto di G. Gabrieli (1557
– 1612) Deus qui Beatum Marcum «à 10» per doppio coro e strumenti,
sul testo dell’orazione propria in Festo Sancti Marci Evangelistæ,
caratteristico della liturgia marciana di Venezia.

Romano Vettori


ACCADEMIA DI MUSICA ANTICA A.M.I.S.